A livello di prevenzione si dovrebbero mettere periodicamente a disposizione dei/lle familiari che prestano assistenza offerte e opportunità di alleggerimento del loro impegno. Tenere colloqui con l’assistito/a e con i/le familiari che lo/la assistono, ma anche cercare di coordinare al meglio, in seno al team, i risultati delle diverse osservazioni, documentarsi approfonditamente, procedere con un approccio interdisciplinare, consultarsi con il medico curante, chiedere a un/a collega di partecipare anch’esso/a al successivo intervento di assistenza o cura, possono essere dei primi passi in questo senso. Spesso l’unico segnale che si nota è un cambiamento nel comportamento dell’assistito/a, di cui peraltro non è ancora chiaro il motivo; è importante in ogni caso fidarsi del proprio intuito e verificare attentamente ogni sospetto, pur senza formulare un giudizio affrettato.
E´ importante studiare attentamente e documentare obiettivamente i comportamenti: c’è qualcosa che salta agli occhi in presenza di determinate persone? Come si comporta l’assistito/a quando si affronta il discorso delle sue modifiche comportamentali? In tale contesto può essere utile conoscere le strategie della comunicazione empatica.
Nell’ambito di un’ istituzione può essere utile la formulazione di una chiara direttiva per le situazioni di violenza nel lavoro quotidiano di assistenza. Si dovrebbe mettere in piedi una rete da poter attivare quando non c´è certezza sugli strumenti di tutela da adottare. Si dovrebbero tenere colloqui caso per caso per poter trovare assieme delle soluzioni all’interno dell´istituzione, nonché delle strutture di supporto locali, tenendo conto dell’obbligo di segnalazione/denuncia previsto dalle leggi (cfr. punto 6). Nel contesto della prevenzione, un importante contributo verrebbe dato da regolari corsi di formazione sulla comunicazione non violenta o sulla de-escalation dei conflitti.